Neoplasie della via biliare escretrice


 

INTRODUZIONE
I tumori della via escretrice biliare comprendono lesioni a carico della via biliare principale (dotti biliari extra-epatici) e lesioni a carico della via biliare accessoria (colecisti e dotto cistico).
Ad essi andrebbero aggiunti - per un criterio puramente anatomico - le lesioni neoplastiche a carico dell'area Vateriana (papilla di Vater e coledoco intrapancreatico distale) ma le caratteristiche specifiche di questi ultimi e le considerazioni parallele con le neoplasie del parenchima cefalo-pancreatico li fanno raggruppare nel capitolo delle neoplasie della testa del pancreas.
Per questi motivi nella trattazione dei tumori che interessano le vie biliari extra-epatiche ci si riferisce alle lesioni dei dotti epatici principali (destro e sinistro), del crocicchio, dell'epatocoledoco (con esclusione del segmento intrapancreatico distale) e della colecisti.

La suddivisione in tre segmenti della via biliare extraepatica non è legata solo ad una semplice disposizione topografica, bensì anche alle caratteristiche macroscopiche delle lesioni neoplastiche che vi si localizzano.
Il terzo prossimale - o regione ilare - contempla i dotti collettori principali (destro e sinistro) e la zona di loro confluenza nel dotto epatico comune (definita "crocicchio degli epatici"). Qui le lesioni neoplastiche (tumore di Klatskin) si presentano con aspetto sclerosante, restando confinate entro i limiti delle pareti biliari; la loro identificazione è tutt'altro che agevole per dimensioni inferiori ai 2-3 centimetri.
Le lesioni che interessano il terzo medio-coledocico si presentano generalmente in forma di noduli ad espressione endoluminale, capaci di determinare un ispessimento parietale nella sede di impianto; le loro dimensioni sono senz'altro maggiori di quelle registrate nel tumore di Klatskin.
Le neoplasie a localizzazione nel tratto coledocico distale (intrapancreatico) hanno aspetto generalmente esofitico e friabile in prossimità del complesso papillare, infiltrativo stenosante nel segmento più prossimale al ginocchio duodenale superiore.
Proprio questa peculiarità differenziale di espressione anatomo-topografica ha indotto a classificare questi tumori - almeno per la parte in stretta vicinanza del complesso papillare - tra quelli che compongono il gruppo della testa del pancreas.
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Con esclusione della colecisti, la prevalenza delle lesioni neoplastiche a carico della via escretrice biliare è nel segmento coledocico (30% dei casi), seguita dal dotto cistico (25%) e confluenza di questo con l'epatico comune (20%), e dal crocicchio degli epatici - tumore di Klatskin, nelle tre varianti della classificazione di Launois (10%).
Per tutti vale la distinzione tra forme primitive e secondarie, cioè per diffusione alle strutture duttati dalla sede di origine (fegato e colecisti, prevalentemente).
Alla distinzione dell'area di origine - non sempre agevole, invero - concorrono la presenza di mucina (nelle forme primitive) e di aree di depressione centrotumorale per necrosi (nelle forme secondarie).
Una nota particolare merita la possibile insorgenza del tumore su una patologia non particolarmente frequente alle nostre latitudini:la dilatazione cistica congenita delle vie biliari (sindrome di Todanj, altrimenti nota anche con il nome di sindrome di Alonso-Lej), della quale si parla più dettagliatamente nella sezione dedicata alla patologia benigna delle Vie Biliari.

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Quando si tratta delle lesioni neoplastiche di pertinenza dell'albero escretore biliare molta attenzione deve essere rivolta ai cosiddetti "pseudotumori", cioè forme patologiche non neoplastiche capaci di determinare una ostruzione al deflusso biliare in duodeno, così da essere spesso confuse con un vero e proprio tumore (sia in fase diagnostica che all'esplorazione chirurgica).
Generalmente sono l'espressione di una reattività tissutale ad agenti chimici o aree circoscritte di infiammazione da agenti patogeni infettivi, assumendo talvolta il quadro di una colangite sclerosante circoscritta.
L'importanza della loro conoscenza e della loro esatta identificazione è nella caratteristica intrinseca di resecabilità e quindi di curabilità; oltre che nella assenza di documentazione in letteratura di casi di degenerazione displastica o neoplastica maligna (con eccezione per la colangite sclerosante distrettuale, sulla cui potenzialità degenerativa le opinioni sono peraltro controverse). Per queste ragioni ad essi deve essere riservato un trattamento radicale di exeresi e non piuttosto di semplice drenaggio derivativo percutaneo o endoscopico.
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Pur nella loro relativamente scarsa incidenza (ben al disotto del 10% delle neoplasie biliari in toto), i tumori benigni della via escretrice biliare meritano una particolare attenzione nella diagnostica degli itteri ostruttivi per la loro peculiare curabilità radicale dato l'alto indice di resecabilità che li contraddistingue.
A complicare il lavoro del diagnosta e del chirurgo contribuisce largamente tanto la considerevole varietà di lesioni quanto la inefficacia dei mezzi diagnostici per il riconoscimento con assoluta certezza della natura benigna della lesione.
A ciò si aggiunge l'incertezza clinica, per assenza di una sintomatologia specifica o per la presenza di manifestazioni sfumate e variabili da caso a caso.
Particolare attenzione va rivolta alle forme polipoidi, specialmente a quelle adenomatose piuttosto che amartomatose o iperplastiche. La ragione di ciò è nella possibilità degenerativa propria degli adenomi.
La sede di più frequente riscontro - area perivateriana (intorno al 50% dei casi) - e la non inusuale associazione con la litiasi (20%) espongono spesso a difficoltà decisionali sotto il profilo terapeutico, specie in presenza di grossi adenomi villosi papillari, considerati lesioni "borderline", cioè ai confini tra benignità e malignità cito-istologica.
Lo stesso vale per la papillomatosi multipla, alla quale si riconosce ormai una possibile degenerazione maligna tanto da attribuirle il ruolo di lesione precancerosa.
La caratteristica multifocalità della lesione può fare precipitare la stessa in una condizione di malignità biologica; infatti la presenza diffusa nell'albero biliare di entrambi i lobi epatici comporta la necessità di exeresi epatiche generose in prospettiva di un trattamento radicale, mentre la scelta di tecniche palliative di drenaggio biliare esterno conduce ad una prognosi costantemente infausta.
La multifocalità contraddistingue anche una modesta percentuale dei meno frequenti mioblastomi biliari, per i quali la localizzazione più periferica ancora consente procedure radicali quali la cefaloduodenopancreasectomia.
Considerazione di assoluto valore è che il comune denominatore di tutte le espressioni neoplastiche benigne della via biliare escretrice è la potenziale resecabilità e quindi curabilità in senso radicale. Sulla scorta di questo asserto ogni causa di ostruzione duttale biliare non può e non deve essere considerata maligna in assenza di un riscontro istologico definitivo.

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Il carcinoma della colecisti è un tumore relativamente frequente (5% di tutte le neoplasie; al quinto posto tra quelle di pertinenza dell'apparato digerente).
La sua incidenza tra i pazienti sottoposti a colecistectomia per patologia biliare oscilla tra 0,5% e 10%, con una media pari al 2% nelle casistiche più accreditate.
L'incidenza - prevalente tra i soggetti di sesso femminile (rapporto F/M 4:1) - cresce con l'avanzare dell'età registrando punte massime tra la 6^ e la 8^ decade di vita (la media di frequenza è intorno alla 5^ decade).
Sull'insorgenza del carcinoma si attribuisce un ruolo incisivo alla litiasi (se sintomatica e datata da oltre 10 anni), con un meccanismo complesso che partendo dal trauma cronico e passando per una fase infiammatoria indurrebbe sulla mucosa parietale la genesi di una displasia e successivamente della neoplasia.
A sostegno della tesi vi è il riscontro di calcoli presenti in 80% dei carcinomi della colecisti; per converso solo il 10%-20% dei pazienti affetti da calcolosi di vecchia data ed in età superiore a 65 anni sviluppa un cancro. Ciò vale, tuttavia, solo per le forme sintomatiche, dal momento che l'incidenza del carcinoma su una litiasi silente non operata è pari appena allo 0,5%.
Maggiore attenzione va rivolta alle calcificazioni parietali, la cui interrelazione con il carcinoma è considerata inequivocabile; così come ad alto rischio neoplastico è valutata la colecisti a porcellana, tanto da indurre all'ablazione profilattica nell'ambito della prevenzione del tumore.
Quanto alla possibile dipendenza da lesioni benigne (adenomi e, più ancora, poliposi) l'incidenza del carcinoma oscilla tra il 5% ed il 20%, a testimonianza del fatto che specie la poliposi può essere ritenuta una lesione a rischio (anche se non propriamente una precancerosi); infatti la prevalenza di carcinomi differenziati su quelli indifferenziati gioca a sostegno di questo asserto.
Nettamente prevalente - sotto il profilo istologico - è l'adenocarcinoma (80% dei casi), del tipo scirroso (70%) o papillifero (20%) o gelatinoso (10%); il residuo 20% è appannaggio delle forme indifferenziate (6%), squamose (3%), miste (acantomi, 1%), oltre ai molto meno frequenti sarcomi, linfomi, melanomi e carcinoidi.
Per una corretta programmazione terapeutica chirurgica risulta indispensabile la conoscenza delle possibilità di diffusione del tumore: questa avviene precocemente per l'impegno loco-regionale e tardivamente per lo sviluppo di metastasi.
L'impegno loco-regionale si realizza attraverso il drenaggio linfatico - in senso centrifugo - nella direzione dei linfonodi peri-coledocici, pancreatico-duodenali e peri-aortici; attraverso il torrente circolatorio, nella corrente della vena cava inferiore, delle vene retro-peritoneali e para-vertebrali; attraverso i vasi penetranti nel letto colecistico per la diffusione al fegato.
La diffusione per continuità impegna l'ilo epatico, il duodeno, il colon e l'omento (30% dei casi)
Le metastasi interessano essenzialmente il fegato (60% dei casi) ; infrequenti sono invece le metastasi polmonari.
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Ai fini della valutazione diagnostica della patologia è importante considerare che tutti i presidi a disposizione hanno valore complementare e non assoluto, a partire dall'esame in bianco dell'addome che può talvolta dimostrare la presenza di calcificazioni parietali della colecisti, ritenute indicative di una lesione neoplastica in una percentuale che oscilla tra il 15% ed il 60% dei casi.
Molto utile può risultare l'ultrasonografia per la potenzialità di dimostrare un ispessimento della parete del viscere, una irregolarità del suo profilo interno ed esterno, una eventuale presenza nel lume di concrezioni litiasiche o di formazioni adenomatose.
Tale corredo di informazioni può essere perfezionato mediante TAC ed RNM, con le quali si riesce a definire l'entità della diffusione del processo neoplastico alle strutture vicine e l'eventuale presenza di piani di clivaggio (spazi per la dissezione chirurgica); oltre a dimostrare l'impegno delle formazioni vascolari del territorio.
Una nota specifica di interesse nell'ambito della programmazione chirurgica è affidata alla colangiografia endoscopica - quando realizzabile - o alla stessa eseguita con tecnica transparietoepatica; meglio ancora se combinate, quando l'impegno neoplastico interessa l'area del crocicchio degli epatici ed il dotto epatico comune.
Alla angiografia, infine, resta demandata l'identificazione di eventuali focolai metastatici epatici e - più ancora - dei limiti di resecabilità della lesione in senso radicale (infiltrazione dei vasi arteriosi afferenti, dislocazione o compressione dei vasi venosi efferenti).
C'è da dire che a dispetto delle opportunità descritte, la diagnosi di un carcinoma della colecisti è frequentemente resa difficile dal fatto che la malattia ha spesso un decorso silente fino alla fase di espressione conclamata per l'insorgenza dell'ittero. Infatti le manifestazioni cliniche sono inizialmente molto vaghe e somigliano a quelle di una colecistite cronica; può essere un campanello d'allarme la conversione del dolore da intermittente a costante, prima ancora della comparsa di ittero che già denuncia - il più delle volte - il viraggio ad una fase avanzata della malattia.

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La maggior parte dei carcinomi della colecisti giunge al tavolo operatorio in una fase troppo avanzata per essere ancora suscettibile di un trattamento radicale; per questo motivo gli interventi palliativi superano di gran lunga le exeresi più o meno generose.
In linea di massima si può affermare che le migliori prospettive terapeutiche sono offerte a pazienti nei quali il riscontro di una lesione neoplastica maligna è accidentale; in tali situazioni può essere consigliabile l'associazione di una "toilette" linfonodale peri-coledocica e retro-cefalo-pancreatica, unitamente alla resezione di un cuneo epatico corrispondente al letto della colecisti.
L'evidenza obiettiva del tumore al campo operatorio, in assenza di invasione dell'ilo epatico ma in presenza di estensione del processo al letto epatico, suggerisce l'opportunità di procedere alla realizzazione di una bisegmentectomia epatica (IV e V segmento) o di una epatectomia destra; mentre l'impegno del dotto epatico destro o del crocicchio impone l'ampliamento della resezione con la realizzazione di una lobectomia destra.
Tra gli interventi palliativi trovano largo impiego le derivazioni bilio-digiunali, utilizzando un segmento biliare a monte dell'ostruzione neoplastica; o le intubazioni trans-neoplastiche del tratto biliare ostruito dall'invasione tumorale.
Un tipo di intubazione di frequente impiego è quello che risponde alla tecnica di Terblanche (intubazione ad U) con la quale la branca superiore è posizionata nel tratto biliare a monte dell'ostacolo (con tecnica di puntura trans-epatica) e la branca inferiore nel segmento biliare a valle dell'ostruzione, spingendo l'estremità fino nel lume duodenale.
In epoca recente trovano sempre maggiore applicazione le endoprotesi, sia per via endoscopica (quando possibile) sia per via transparietoepatica.
Di scarso valore risultano la radioterapia e la chemioterapia, isolate o combinate; un cenno particolare merita la cronoinfusione distrettuale di sostanze chemioterapiche nel territorio epatico sede di metastasi, attraverso un cateterino posizionato nell'arteria epatica comune attraverso l'arteria gastro-duodenale.
I risultati - sia dopo exeresi radicali che dopo procedure palliative - sono comunque scoraggianti, tanto che la sopravvivenza registrata dopo semplici intubazioni trans-neoplastiche è quasi sovrapponibile a quella successiva ad interventi di resezione con finalità curative; questi ultimi, peraltro, sono gravati da una maggiore mortalità operatoria che ne sconsiglia l'esecuzione, se non in casi molto selezionati.
La sopravvivenza del carcinoma della colecisti, globalmente considerata (2-5% a due anni dal trattamento), si giova dei casi scoperti accidentalmente in seguito a colecistectomie per litiasi; infatti nelle neoplasie avanzate il decesso sopraggiunge entro il primo anno nel 90% dei casi, la metà dei quali nei primi tre mesi dall'atto chirurgico, dando così crescente valore alla diagnosi precoce per una effettiva incidenza di curabilità.

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Nella forma primitiva il carcinoma della via biliare escretrice principale è una lesione più rara del carcinoma della colecisti, con una incidenza variabile tra 0,2 e 0,5 %; è più frequente nei soggetti di sesso maschile (rapporto M/F 3:2) e l'età più colpita è più alta di quella per cancro della colecisti, con picchi nella VI e VII decade di vita.
L'associazione con la litiasi biliare è meno marcata, mentre relativamente frequente è l'associazione con la colite ulcerativa (1-5%) senza che sia dimostrabile alcun rapporto tra l'insorgenza della neoplasia e l'estensione della resezione colica praticata, la gravità delle manifestazioni di R.C.U. o le modalità di trattamento medico adottato.
In rapporto alla sede di localizzazione - nella nota tripartizione dell'albero escretore in terzo prossimale o superiore (dotti collettori epatici e confluenza degli stessi), terzo medio (epatocoledoco, fino alla proiezione sul ginocchio duodenale superiore) e terzo distale o inferiore (coledoco intrapancreatico, con distinzione del segmento iuxtapapillare) - la neoplasia si manifesta precocemente con una ostruzione biliare parziale o completa (aldilà dell'impegno anulare generalmente circoscritto della parete duttale).
Le varianti istologiche più frequenti sono rappresentate dalle forme papillari, nodulari o diffuse; una forma particolare è la variante sclerosante del crocicchio degli epatici, spesso confusa con una stenosi benigna primitiva a causa della crescita estremamente lenta e della rarità di metastasi.
In letteratura sono riportate anche forme multicentriche.
La diffusione di queste neoplasie si estrinseca sia nel fegato e nelle stazioni linfonodali regionali che nelle strutture anatomiche confinanti (diffusione per continuità, pari al 20% dei casi). Il fenomeno è tanto precoce da fare registrare la presenza di metastasi all'atto operatorio nel 50% dei casi, anche quando l'evidenza sintomatologica accompagni lesioni ancora circoscritte.

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Preceduta da un periodo di latenza clinica anche di molti mesi, in cui si registra un decadimento delle condizioni fisiche per calo ponderale, anoressia e dolori addominali (presenti almeno nel 50% dei casi), la manifestazione clinica della fase conclamata è rappresentata dall'ittero ingravescente, frequentemente preceduto da prurito.
Il sospetto diagnostico è suggerito dall'età del paziente, dalla positività anamnestica di litiasi sintomatica della colecisti, dall'eventuale concomitanza di patologie a rischio (R.C.U., cisti biliare congenita, poliposi del colon).
Raramente il corredo sintomatologico si arricchisce anche di nausea e vomito alimentare, essendo questi disturbi indicativi dell'infiltrazione duodenale o della diffusione peritoneale del processo neoplastico.
Poichè l'epatomegalia e le manifestazioni di ipertensione portale compaiono tardivamente nel corso della malattia, non si può fare riferimento ad esse se non nel caso di una evidenza troppo marcata in relazione alla durata dell'ittero (come avviene nelle localizzazioni all'ilo epatico); anche se tuttavia il segno non è da considerare patognomonico dell'affezione.

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Allo scarso ausilio diagnostico fornito dal laboratorio - dove spicca il caratteristico incremento precoce della fosfatasi alcalina anche in assenza di incremento della bilirubinemia - fa da contraltare il supporto della diagnostica strumentale, con posizione predominante per la TAC e la colangioRMN per l'identificazione della sede del processo ed il riconoscimento dell'estensione nel fegato e nelle strutture limitrofe.
Nelle localizzazioni all'epatocoledoco risulta particolarmente utile l'associazione delle due colangiografie - ascendente (o endoscopica) e discendente (o transparietoepatica) - per la definizione dei confini, prossimale e distale, del processo neoplastico nell'ambito del sistema escretore coinvolto; ciò al fine di procedere ad una decisione modulata del programma terapeutico (resettivo o derivativo), cui concorre in modo determinante l'angiografia artero-venosa del distretto anatomico per le informazioni sull'operabilità e sulla resecabilità della lesione.
A dispetto del progresso tecnico nel campo della diagnostica strumentale, la parola definitiva spetta all'esplorazione chirurgica ed allo studio istologico su campioni di prelievo bioptico, specialmente per le localizzazioni ilari dove è più facile l'errore con lesioni benigne o forme sclerosanti.

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Nonostante la precoce identificazione di una neoplasia delle V.B. legata alla quasi subitanea comparsa dell'ittero, l'incidenza di resecabilità radicale è estremamente bassa; la lenta crescita del processo espansivo consente invece - molto spesso - la realizzazione di una derivazione palliativa allo scopo di risolvere l'ittero (ed i rischi di insufficienza epatorenale) e la sintomatologia dolorosa (quando presente).
Gli obiettivi da perseguire sono diretti sia all'asportazione del tumore sia alla realizzazione di un drenaggio biliare efficiente. Per entrambi è necessaria la definizione di resecabilità o meno della lesione e la sua localizzazione prossimale o medio-distale.
Per le neoplasie resecabili alte (o prossimali) la scelta spazia tra una resezione più o meno estesa (epatectomia o lobectomia, destra o sinistra in riferimento all'estrinsecazione del tumore verso uno dei due dotti epatici) ed un drenaggio trans-tumorale, con preferenza per quest'ultimo alla luce degli indici di mortalità operatoria (tra il 14% ed il 16% nelle resezioni associate ad exeresi parenchimale epatica, cui si riconosce la priorità solo in casi selezionati, per condizioni generali e locali che pongono una candidatura ad interventi curativi).
Una considerazione particolare va al carcinoma sclerosante della confluenza dei dotti epatici: lesione a lento sviluppo che mima un processo sclerosante benigno. Più frequente nei soggetti di sesso maschile (rapporto M/F 8:1), con picco di incidenza intorno ai 65 anni di età, alle manifestazioni cliniche comuni alle altre neoplasie descritte associa una progressione di gravità sintomatica fino al coma epatico ed all'insufficienza renale.
La diagnosi si avvale unicamente del riscontro istologico su campioni bioptici, dal momento che non sussistono differenze con le altre neoplasie di questa sede alle indagini strumentali disponibili.
Il trattamento consiste nell'applicazione di un drenaggio trans-tumorale o nella realizzazione di una derivazione intraduttoepaticodigiunale (secondo la tecnica di Longmire). 
Per i tumori a sede medio-distale - la cui resecabilità supera 80% dei casi - la scelta cade su una delle seguenti procedure : resezione segmentaria e ricostruzione diretta per modesta estensione della neoplasia (non oltre 2-3 cm.); resezione seguita da ricostruzione bilio-digiunale su ansa esclusa (o con ansa interposta) o cefaloduodenopancreasectomia per estensioni maggiori del tumore.
In tutti i casi di non resecabilità la scelta è tra una intubazione trans-tumorale (percutanea, endoscopica o chirurgica) ed un drenaggio biliare interno mediante realizzazione di una epatico-digiunostomia sul dotto collettore principale sinistro (3^ segmento).
Da alcuni (Startzl e coll.) è stato anche proposto il trapianto di fegato per il trattamento del colangiocarcinoma del crocicchio degli epatici; ma il basso indice di sopravvivenza e l'elevato tasso di complicanze hanno sconsigliato di proseguire su questa strada.
Nella valutazione dei risultati a breve e lungo termine spicca una prognosi generalmente infausta nonostante le caratteristiche di differenziazione e la lenta crescita del tumore; ciò in relazione alla sovrapposizione di processi colangitici e di ascessi epatici che spesso conseguono all'ostruzione biliare.
Inoltre la precocità delle manifestazioni cliniche non corrisponde ad uno stadio altrettanto precoce di malattia, che pertanto si avvale frequentemente di trattamenti palliativi in virtù della fase avanzata in cui il tumore giunge al tavolo operatorio.
La sopravvivenza media post-operatoria è valutabile nell'ordine del 10% dei casi a localizzazione prossimale, con indici sorprendentemente più elevati per i carcinomi sclerosanti della stessa sede; mentre per le localizzazioni nel tratto medio-distale ricalca quella dei carcinomi a partenza dal coledoco intrapancreatico.

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Tab.1 - Caratteristiche differenziali delle neoplasie della via biliare escretrice

BIBLIOGRAFIA

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