Litiasi biliare


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INTRODUZIONE
La colelitiasi è una delle più frequenti patologie dell'età adulta, con un incremento crescente con l'avanzare degli anni fino a raggiungere un indice del 35% nei soggetti nella VIII decade di vita (soltanto del 10% in quelli a cavallo della IV e V decade).
Si registrano casi anche in età infantile, in stretta relazione con la frequenza con la quale si manifestano malattie emolitiche in tale periodo della vita; lo stesso vale per gli indici di frequenza nella terza decade, nella quale appaiono più colpite le donne in relazione alla gravidanza.
Il rapporto F/M di 4:1 in età giovane si riduce gradualmente e progressivamente con il trascorrere degli anni, fino ad approssimarsi all'unità.

La presenza di calcoli nelle via biliare - sia intra- che extraepatica, principale e accessoria - non è necessariamente vincolata alla comparsa di complicanze con essa correlata; per queste necessita il concorso di fattori diversi, sia di natura chimico-fisica che infiammatoria.
Intanto, in riferimento alla sede anatomica assume un ruolo significativo la localizzazione delle concrezioni calcaree nel contesto del sistema duttale intraepatico o nel lume della via escretrice; per quest'ultima è importante la localizzazione nei vari segmenti componenti l'albero biliare e nella colecisti stessa.    
Le differenze di incidenza alle varie latitudini richiamano l'attenzione sulla ricerca di fattori condizionanti la formazione dei calcoli nel contesto del sistema biliare escretore: su tutti primeggia una componente etnica quale probabile espressione genetica incidente sulla produzione di bile supersatura.
Altrettanto stimolante è il riscontro di casi nel contesto della stessa famiglia; da qui la familiarità dell'espressione patologica, da più parti invocata anche se non comprovata. Così come l'interrelazione con età (teoria di Chiray sulle modifiche metaboliche della bile litiasica) ed il sesso dei soggetti affetti, entrambi correlati con modifiche metaboliche organiche (una su tutte, l'incremento della saturazione del colesterolo nella bile).
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La considerazione dei fattori predisponenti pone l'accento sulla loro molteplicità e diversità, ma anche sulla presenza di un comune denominatore rappresentato dalla capacità di influire in qualche modo sulla bilancia delle concentrazioni/diluizioni dei principali componenti della bile. Passando in rassegna detti fattori predisponenti, primeggiano l'obesità e l'ipercolesterolemia: il primo perchè capace di favorire la litiasi attraverso un incremento della secrezione di colesterolo nella bile; il secondo per la saturazione biliare di colesterolo (incremento di sali biliari collegato alla frazione di acidi biliari, con esclusione del chenodesossicolico). Non trascurabile l'interrelazione tra litiasi e cirrosi epatica (per le modificazioni metaboliche che si riflettono sulla composizione della bile); tra litiasi e flogosi biliari (per il danno parietale con conseguente alterazione della permeabilità ed assorbimento di acidi biliari e sali inorganici); tra calcolosi e diabete mellito (quale fattore di rischio), resezioni intestinali (problemi di malassorbimento), nutrizione parenterale totale. Infine un ruolo importante si attribuisce anche alla stasi biliare in quanto l'interruzione del circolo entero-epatico dei sali biliari determina la riduzione delle concentrazioni di sali e fosfolipidi nella bile.

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Aldilà del numero, delle dimensioni e della forma, si riconoscono tre diversi tipi di calcoli: * puri (composti di solo colesterolo) : rappresentano il 10% di tutti i calcoli biliari e sono generalmente unici, grandi, rotondeggianti; * misti (di colesterolo per il 70% e di sali di calcio, bilirubina, acidi biliari, proteine e detriti per il residuo 30%) : sono la forma più comune, incontrata in almeno 80% dei casi; sono sfaccettati, lisci o scabri, generalmente multipli, di diametro massimo quasi mai oltre i 2 cm.; * di pigmento (bilirubina, calcio e materiali organici; non colesterolo) : presenti nel 10% dei casi, sono multipli, piccoli, irregolari, di consistenza dura e colore scuro; la loro genesi è legata all'eccesso nella bile di bilirubina non coniugata (malattie emolitiche) o all'azione della beta-glicuronidasi, prodotta da alcuni microrganismi, che idrolizza la bilirubina coniugata (idrosolubile) trasformandola in bilirubina libera (insolubile) che precipita come bilirubinato di calcio. Alla base della formazione del calcolo vi è essenzialmente la precipitazione di un soluto nel suo solvente, per alterazione dell'equilibrio della soluzione. Analizzando la composizione biliare si nota che le tre componenti - sali biliari, fosfolipidi (per il 90% lecitine) e colesterolo - sono regolate da una percentuale relativa pari rispettivamente a 80%, 15% e 5%. Se la quantità di colesterolo resta inferiore a quella di saturazione è assicurata la permanenza nella fase di solubilità; mentre quando la sua concentrazione supera il valore di soglia si verifica la precipitazione e la formazione del calcolo. Il procedimento passa per tre stadi successivi: saturazione, cristallizzazione e crescita. Nel primo stadio si determina la formazione di bile iper-satura, termodinamicamente instabile e potenzialmente capace di precipitare. In quello successivo si realizza un cambiamento di stato fisico della bile, dalla fase liquida (nella quale il colesterolo è ancora in soluzione ma a concentrazioni di ipersaturazione) alla fase solida (nella quale il colesterolo è già in forma di cristalli per processi di nucleazione, flocculazione e precipitazione). La terza ed ultima fase comporta l'accrescimento del calcolo per effetto dell'aggregazione e della coalescenza intorno al nucleo centrale; questo processo si realizza nella colecisti, dove la bile staziona anche per ore (a dimostrazione della stasi biliare quale principale fattore nel meccanismo dell'accrescimento dei calcoli).

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Il discorso patogenetico della litiasi biliare non è ancora pienamente definito e chiama in causa tre ipotesi : la stasi, la flogosi, il processo metabolico.
Il riscontro della maggior frequenza dei calcoli nella colecisti supporta la considerazione della stasi biliare nella patogenesi delle concrezioni litiasiche. Ciò è suffragato anche dal riscontro di litiasi primitive dell'albero biliare in corrispondenza di tratti stenotici, così come di calcolosi in colecisti con turbe funzionali motorie o in corso di ipotiroidismo e gravidanza. Contrasta l'assenza di litiasi in alcuni casi di stenosi  biliari croniche o determinate da infezione luetica, nonchè la negatività del test di contrattilità colecistica (di Boyden) in molti casi di colecistolitiasi.
La precipitazione litiasica in corso di processi infiammatori a carico della colecisti è spiegata dalle alterazioni parietali che comportano una ipersecrezione di muco ed essudazione di fibrina nel lume viscerale. La formazione di un nucleo centrale composto di cellule epiteliali desquamate e proteine di derivazione flogistica (muco di Naunyn) è il primo tempo per la sovrapposizione dei componenti costitutivi descritti.
Se dunque la flogosi può determinare la litiasi - sulla base dell'acidificazione della bile, dell'alterazione della permeabilità della parete viscerale, dell'induzione della secrezione di muco e della variazione della crasi biliare - non si spiega l'alta frequenza (80%) di litiasi asettiche; da qui il sostegno della flogosi quale fattore induttivo per l'accrescimento dei calcoli per agglutinazione.
E' evidente, dunque, che sia la stasi che l'infiammazione non sono sufficienti a spiegare la formazione di calcoli nelle vie biliari; un ruolo fondamentale viene giocato dal dismetabolismo (eccessiva produzione di pigmenti non coniugati, alterazione di fattori solubilizzanti nella bile, riduzione del rapporto sali biliari/colesterolo che conduce alla insolubilità di quest'ultimo).
E' noto che in corso di infiammazione della colecisti si registra un aumento del riassorbimento degli acidi biliari attraverso la parete del viscere; e che acidi grassi, lipoproteine e fosfolipidi sono essenziali per mantenere la solubilità del colesterolo nella bile. A ciò si aggiunge la secrezione di mucina, la deconiugazione batterica degli acidi grassi e l'azione di enzimi pancreatici eventualmente refluiti nell'albero biliare.
In definitiva la patogenesi della calcolosi deve riconoscere il concorso di più fattori epatici in grado di incidere sulla precipitazione litiasica per influenze a vario grado sui tre stadi successivi già detti (saturazione, cristallizzazione e crescita), o con un incremento della secrezione di pigmenti (come nelle malattie emolitiche), o con un deficit di acidi biliari e fosfolipidi (che esita nella riduzione del potere di solubilizzazione del colesterolo contenuto nella bile epatica).

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La calcolosi della colecisti risulta essere, per caratteristiche di frequenza, la malattia di più ampio riscontro tra le popolazioni occidentali nell'ambito dell'apparato digerente. La sua incidenza aumenta parallelamente al progredire dell'età, con un quarto dei casi manifesti in soggetti che abbiano superato il 60° anno di vita.
La diversa incidenza e distribuzione nasce con ogni probabilità da fattori dietetici - oltre che genetici - dal momento che l'importanza della dieta è confermata dal fatto che la patologia, scarsamente frequente nella popolazione giapponese residente in Giappone, diventa di relativo riscontro nella stessa emigrata in occidente. Questo dato è messo in relazione con l'abitudine alimentare orientale a bassa componente di grassi e proteine ed alto consumo di carboidrati, con un apporto calorico giornaliero inferiore a quello dei paesi occidentali.
Sotto il profilo clinico la colecistolitiasi impone la distinzione tra forme asintomatiche e forme sintomatiche. Nella maggioranza dei casi la calcolosi non si accompagna a manifestazioni cliniche, tanto da essere anche definita silente; questo è confermato anche da un ampio studio Italiano eseguito su un campione di 2000 soggetti di Sirmione - comune della provincia di Brescia (dal quale deriva la denominazione di "progetto Sirmione") - di età compresa tra 18 e 65 anni. Tra questi si riscontrarono 132 casi di litiasi della colecisti, nota solo al 18% dei soggetti affetti, mentre al restante 82% l'affezione risultò del tutto misconosciuta. Inoltre un terzo di quel 18% non denunciava alcun disturbo, come per 87% dei casi in cui la situazione patologica era assolutamente ignota.
Il comportamento largamente astensionistico sotto il profilo terapeutico che ne deriverebbe è tuttavia modulato dalla considerazione che necessita una distinzione dei pazienti portatori di colecistolitiasi asintomatica in due gruppi, in base alla concomitanza di fattori di rischio da distinguere in maggiori e minori per il differente grado di complessità clinica.
Da ciò deriva il suggerimento di riservare un intervento di colecistectomia profilattica ai soli soggetti nei quali sia evidente la concomitanza di fattori considerati "maggiori" (come la NPT in età pediatrica, il diabete, l'immunosoppressione ed i trattamenti a base di estrogeni), tralasciando di intervenire chirurgicamente nei soggetti con fattori di rischio "minori" (quali il moderato rialzo colesterolemico, un contenuto incremento ponderale, la concomitanza di sindromi emolitiche o di resezioni ileali pregresse).
Da un punto di vista clinico il sospetto di colecistolitiasi silente è denunciato dalla presenza della cosiddetta "dispepsia non dolorosa" o "ipostenica", riferita dal paziente come intolleranza per certi alimenti (specialmente per i grassi) e denunciata da eruttazioni, flatulenza, senso di tensione addominale; si tratta comunque di espressioni non esclusive in quanto spesso lamentate anche da soggetti nei quali non è la calcolosi a determinarle bensì una patologia di pertinenza extra-biliare (come un'ernia iatale, una gastrite cronica o una colonpatia discinetica).
Quando, invece, la "dispepsia non dolorosa" è dipendente da colecistolitiasi può perdurare inalterata nel tempo, con solo modeste oscillazioni quanto ad intensità; o precedere l'insorgenza di una sintomatologia dolorosa del tipo consueto, spesso legato a complicanze acute a carico della colecisti stessa o del pancreas; la probabilità di insorgenza di complicanze si riduce, tuttavia, progressivamente con il trascorrere del tempo, così che si può affermare che il rischio è tanto minore quanto più a lungo la litiasi resta asintomatica.
La calcolosi sintomatica è dominata dalla "dispepsia dolorosa" nella quale il dolore presenta caratteristiche specifiche di sede e diffusione: fisso, in sede ipocondriaca destra con o senza irradiazione all'epigastrio, alla spalla omolaterale e posteriormente; ricorrente o a crisi (dolore dei tre giorni, secondo Gutmann); accompagnato da vomito (alimentare prima, biliare successivamente) che ne anticipa la cessazione. L'alvo durante la colica è chiuso a gas e feci; talvolta si associa rialzo termico, subittero sclerale, ipercromia urinaria.
Segni semeiologici significativi sono la positività della manovra di Murphy (arresto inspiratorio da dolore e percezione palpatoria del fondo della colecisti) e la dolorabilità dell'area pancreatico-duodenale di Chauffard-Rivet (indice di associata flogosi della colecisti e spasmo dello sfintere di Oddi).
Tra le sindromi correlate con la colecistolitiasi le più note sono : la sindrome di Saint (associazione con l'ernia iatale da scivolamento e la diverticolosi del colon) e la sindrome di Lahey (spasmo coronarico riflesso ed aritmia in corso di colica biliare).
Il quadro clinico si rende assai più eclatante con la comparsa di sintomi correlati con l'evoluzione del processo colecistolitiasico verso la realizzazione di complicanze acute o croniche.
Tra queste si annoverano : l'idrope della colecisti (distensione per ostruzione del dotto cistico senza superinfezione viscerale); l'empiema (per superinfezione della colecisti distesa, con dolore intenso, febbre con brivido, vomito, diarrea e piastrone parietale addominale); la colecistite acuta (la cui forma più grave è rappresentata dalla colecistite gangrenosa); la pancreatite acuta, ricorrente o stabile (per ipertonia reattiva dello sfintere di Oddi); la fistola colecisto-enterica (con eventuale migrazione di calcoli nel lume gastrico, duodenale o colico attraverso una perforazione coperta della parete colecistica compromessa dalla flogosi).
Una menzione particolare merita la cancerizzazione su litiasi, confermata dal riscontro di calcoli nel contesto di oltre 80% di colangiocarcinomi della colecisti e sostenuta da una patogenesi traumatica esercitata dai calcoli su un substrato parietale viscerale compromesso dall'infiammazione ed esposto all'azione oncogena di sostanze presenti nella bile (quali gli stessi sali biliari).

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La litiasi dell'epatocoledoco rappresenta una delle più frequenti complicanze della calcolosi della colecisti; nella grande maggioranza dei casi i calcoli rinvenuti nell'albero biliare extra-epatico provengono dalla colecisti, come dimostrato dalla frequente coesistenza di litiasi in entrambi i distretti della via escretrice biliare.
Non mancano, tuttavia, casi di calcolosi isolata dell'epatico comune e del coledoco, in conseguenza della stasi biliare e della superinfezione; nel 1968 Madden dimostrò che l'incidenza di questa condizione era più alta di quanto si credesse, in virtù delle migliorate conoscenze nell'ambito della patogenesi della litiasi biliare grazie anche agli studi di Fung e Ong (1961).
Le caratteristiche fisiche delle concrezioni biliari in questa sede propongono calcoli unici o multipli, lisci o sfaccettati, di consistenza dura o molle; anche se è documentata la possibile migrazione in duodeno attraverso la papilla di Vater, è prerogativa quasi costante della litiasi epato-coledocica l'incarceramento del calcolo nel lume duttale a causa della disparità di calibro con il tratto intrapapillare e lo sfintere di Oddi.
Due note tra le caratteristiche della colelitiasi meritano particolare attenzione: l'ostruzione completa del lume duttale per calcoli multipli addensati e compattati (impietramento coledocico) e l'ostacolo al deflusso di succo pancreatico in duodeno, con conseguente retroversione dello stesso nel lume del dotto di Wirsung ed autoattivazione dei proenzimi pancreatici che induce al quadro clinico di una pancreatite, spesso grave.
Sotto il profilo anatomo-macroscopico dominano l'edema e la fibrosi parietale in risposta all'irritazione per la presenza dei calcoli ed alla loro mobilizzazione; il sistema duttale appare dilatato, con infiltrazione di cellule infiammatorie nelle pareti.
Il fegato non mostra alcuna alterazione nelle ostruzioni acute, mentre presenta un quadro di cirrosi biliare secondaria ad ostruzioni croniche, con trombi biliari sparsi e fibrosi degli spazi portali.
Tutto ciò si riflette sulle manifestazioni cliniche della patologia, a volte silente o paucisintomatica (come prima espressione di una colecistolitiasi asintomatica), più spesso evidente per segni clinici specifici ed espressioni dell'ostruzione biliare instauratasi acutamente o cronicamente.
Nel primo caso l'ostruzione è raramente completa, la dilatazione è poco marcata o assente, l'ittero è fluttuante; nel secondo caso l'ostruzione è quasi sempre rilevante, la dilatazione interessa anche i dotti intraepatici ma risparmia la porzione terminale del coledoco (tratto intrapancreatico).
Il quadro sintomatologico è dominato dalla colica biliare e dalla presenza di febbre (se vi è flogosi associata). Il dolore è espressione della distensione duttale e rappresenta il sintomo di esordio, con caratteristiche molto simili alla colica sostenuta dalla litiasi della colecisti.
L'ittero, presente in  percentuale elevata (oltre 60% dei casi), è fluttuante e pertanto distinguibile dal tipo progressivo, patognomonico delle affezioni neoplastiche; oltre che da quello epatitico, esente da manifestazioni dolorose (del tipo colica biliare) ma con evidenti alterazioni dei tests funzionali epatici e delle attività transaminasiche.
La febbre - in circa il 30% dei casi - di tipo settico, preceduta da brivido intenso e risolta per crisi dopo un breve lasso di tempo (2-3 ore) è l'espressione dell'angiocolite per superinfezione batterica, più frequentemente del tipo subacuto ricorrente.
A volte la gravità clinica può spingersi fino alla formazione di ascessi multipli intraepatici, la cui prognosi è spesso infausta.

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La litiasi intraepatica è piuttosto rara in Europa (5%), più frequente in Oriente (25%); può presentarsi in forma isolata o associata a litiasi epatocoledocica.
La forma isolata si distingue in parenchimale e intracanalicolare: la prima è caratterizzata dal deposito di concrezioni in piccole cavità epatiche precostituite, quali esiti di ascessi cronici o di cisti suppurate (Echinococco); la seconda è determinata dall'alloggiamento di calcoli multipli nei più voluminosi dotti intraepatici (spesso nell'ambito di dilatazioni congenite della malattia di Caroli, tipo V della classificazione di Todani).
Caratteristica precipua della forma parenchimale è l'assenza di migrazione dei calcoli e l'accrescimento progressivo fino alla rottura dei dotti.
La patogenesi più accreditata è flogistica, documentata dalla frequenza di associazione con la colangite ricorrente piogenica (da Clonorchis Sinensis) nella quale le concrezioni miste di pigmento, cellule epiteliali di sfaldamento e sali di calcio ostruiscono diffusamente il sistema duttale intraepatico.
Diversamente la forma intracanalicolare è caratterizzata da un ostacolo al deflusso biliare di tipo diffuso o segmentario, con la possibilità di migrazione dei calcoli verso il sistema escretore extraepatico; un tipico esempio migratorio è dato dalla coesistenza di litiasi intra- ed extraepatica (definita panlitiasi), in cui è prevalente la localizzazione lobare sinistra per le concrezioni intraepatiche (dotto epatico sinistro e suoi confluenti).
Il quadro clinico è comunque dominato dalla febbre settica (angiocolite o ascessi colangitici), dall'ittero cronico e progressivo, dal calo ponderale e dalla disprotidemia; l'ittero spesso è particolarmente intenso, e la caratteristica limitazione delle concrezioni litiasiche ad un solo ramo delle radici biliari richiama l'attenzione sulla compartecipazione di danni parenchimali epatici nella sua patogenesi (ittero paradosso).

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La migrazione di uno o più calcoli dalla colecisti nel dotto cistico determina il quadro di litiasi di questo segmento della via escretrice biliare; l'incuneamento del calcolo nella tasca di Hartmann può determinare una condizione di ostruzione cervico-infundibolo-cistica con esito in idrope della colecisti.
La clinica è tipicamente caratterizzata da coliche biliari ricorrenti o dolore gravativo fisso, febbre e subittero sclerale, distensione della colecisti con dolorabilità alla palpazione.
L'eventuale funzionamento a valvola del calcolo può determinare un'idrope intermittente; mentre la fissità in posizione dello stesso condiziona l'esposizione della colecisti idropica alla superinfezione (empiema), allo scoppio (coleperitoneo o peritonite biliare, in riferimento alla setticità della bile).
Una forma particolare è la  microlitiasi del dotto cistico, la cui caratteristica è di essere autonoma e primitivamente generata nel dotto. Pochi calcoli (generalmente 3 o 4) sono scaglionati lungo il decorso del dotto fino alla confluenza con l'epatico comune, determinandone l'ostruzione e condizionando una distensione stabile della colecisti che risulta maggiormente esposta a complicanze acute.
La lenta migrazione di un calcolo da una colecisti sclero-atrofica condiziona la sindrome di Mirizzi, nella quale la distensione del dotto e la sua disposizione parallela al coledoco - dal quale è spesso indistinguibile per fibrosi reattiva - predispone alla formazione di una fistola biliare interna (cistico-coledocica); oltre a presentare un quadro clinico-sintomatologico che pone serie difficoltà diagnostiche differenziali con una neoplasia primitiva biliare.
L'insorgenza di una colelitiasi a distanza da un intervento di colecistectomia apre il dibattito tra "calcolosi residua" e "calcolosi recidiva".
La litogenicità intraduttale della bile viene a sostegno dei pochi casi (circa il 3%) di calcolosi epato-coledocica primitiva post-colecistectomia; ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di litiasi misconosciute all'atto chirurgico, con calcoli spesso di piccole dimensioni e successivamente aumentati di volume per il noto fenomeno dell'accrescimento intraduttale.
La causa responsabile di una litiasi "da ritenzione" è da attribuire ad errore valutativo della colangiografia intraoperatoria (quando eseguita) per confusione delle immagini di minus con bolle d'aria intraduttali.

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La diagnosi di colelitiasi espone alla possibilità di effettuare l'indagine nel pieno delle manifestazioni cliniche o in fase di quiescenza sintomatologica.
Nella prima evenienza l'esame clinico è prioritario e mira all'accertamento della sussistenza dei segni semeiologici tipici (positività della manovra di Murphy e dolorabilità riflessa nell'area di Chauffard-Rivet) a supporto dell'anamnestico suggestivo di una colica biliare tipica.
Nell'ipotesi di evidenza di complicanze settiche diviene imperativo operare una diagnosi differenziale con patologie responsabili di espressioni cliniche sovrapponibili (quali una colica renale, una perforazione gastrica o duodenale, una pancreatite acuta, un'appendicite acuta con appendice sottoepatica).
L'indagine diagnostica eseguita in una fase di quiescenza clinica deve mirare alla discriminazione tra le possibili cause di "dispepsia dolorosa" o di alterata funzione epatica: la presenza di una massa palpabile in sede ipocondriaca destra impone la differenziazione tra idrope ed empiema della colecisti, idronefrosi omolaterale, cisti da echinococco epatica; la percezione palpatoria di una massa deve orientare il diagnostico verso una patologia neoplastica a carico della flessura epatica del colon o della colecisti o del pancreas, con l'eventuale concomitanza dell'ittero utile a circoscrivere agli ultimi due il sospetto clinico.
In assenza di ittero è il ricorso ad una accurata anamnesi a fornire indicazioni utili alla ricerca di pregressi che possano orientare sull'ipotesi di calcolosi della colecisti; in questo aiutati dal laboratorio con il riscontro di rialzi - sia pure modesti - della bilirubina, della fosfatasi alcalina e del colesterolo.
L'indagine radiologica può fornire un consistente supporto già con l'esame in bianco dell'addome per l'evidenza di calcoli radiopachi (inusuale nell'epato-coledoco); ma più ancora con la TAC o la colangio-RM.
Il supporto diagnostico strumentale primario resta tuttavia l'USG in quanto priva di rischi e pienamente rispondente al rispetto della bilancia costi/benefici. Con l'ecografia l'identificazione dei calcoli è pressocchè certa per il caratteristico "cono d'ombra" che l'immagine iperecogena del calcolo proietta nello spazio retrostante.
In fase pre-operatoria e prevalentemente con finalità programmatica terapeutica interviene il supporto della colangiografia endoscopica e trans-epatica, con possibilità di definire la posizione dei calcoli e di rimuoverli attraverso una incisione dell'area sfinteriale di Oddi; nonchè di effettuare un drenaggio biliare interno con intento decompressivo biliare ed evacuativo della sepsi.
In fase intraoperatoria risultano di grande ausilio la colangiografia trans-cistico (per la dimostrazione della pervietà dell'albero biliare e la valutazione della funzionalità dello sfintere di Oddi), la colangioscopia diretta (per la valutazione della natura e sede di una eventuale stenosi e per l'identificazione di microliti non palpabili) e la manometria biliare (per il riscontro di un'eventuale ipertensione intraduttale); mentre in fase post-operatoria la colangiografia attraverso tubo di drenaggio eventualmente posizionato (tubo di Kehr) consente di evidenziare eventuali calcoli ritenuti della cui rimozione provvedere in tempi solleciti.

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Il trattamento della litiasi biliare è essenzialmente chirurgico, anche se alla terapia medica deve essere consentito lo spazio dovuto per indicazioni ben precise e selezionate.
Gli obiettivi del trattamento medico sono essenzialmente due : dissolvere i calcoli presenti e prevenire la formazione di nuovi. Allo scopo si è fatto largo impiego degli acidi Cheno- e Ursodesossicolico, sfruttandone la capacità di incrementare la quantità totale di acidi biliari riducendo la litogenicità della bile. Ma una grossa limitazione è data dalla tossicità epatica per uso prolungato con evidente citolisi parenchimale.
Il ruolo primario affidato alla terapia medica è dunque il dominio del dolore (mediante analgesici non steroidei e spasmolitici non oppiacei, per non incorrere nell'azione contratturante sullo sfintere di Oddi) e dell'infezione (attraverso l'impiego di inibitori della callicreina, come l'aprotinina). Gli antibiotici sono giustificati solo nelle fasi più avanzate e in caso di peritonite biliare.
Dunque il trattamento della colelitiasi è essenzialmente chirurgico e la scelta del procedimento più idoneo dipende da fattori sia locali che generali (sede e numero dei calcoli, dilatazione della via escretrice principale, età del paziente, eventuali malattie debilitanti, esistenza di flogosi associata).
L'esplorazione chirurgica della via escretrice in corso di colecistectomia per calcolosi è dettata da condizioni assolue e relative (riportate nella diapositiva 53).
In assenza di flogosi una coledocotomia ideale ed estrazione dei calcoli mediante catetere di Fogarty trova indicazione in soggetti giovani nei quali il coledoco presenti un calibro sufficiente ad evitare una stenosi post-operatoria. L'applicazione al termine di un tubo di Kehr garantisce sulla riparazione non stenosante della breccia coledocica e consente un controllo successivo e l'eventuale rimozione di calcoli residui.
In caso di coesistenza di una stenosi papillare si impone la necessità di provvedere ad una papillosfinterotomia; o, meglio, una papillosfinteroplastica che consente di individuare l'ostio escretore pancreatico e trattare la sua eventuale stenosi associata alla litiasi coledocica.
Questo tipo di intervento rispetta i principi della fisiologia biliare in quanto conserva la normale via di deflusso in duodeno, facendosi così preferire alla derivazione coledoco-duodenale; la scelta tra l'una o l'altra tecnica non può tuttavia essere arbitraria, dovendo obbedire a criteri che tengano conto dell'età del paziente, delle condizioni generali, delle dimensioni dell'albero biliare, dell'esistenza o meno di flogosi.
Nei soggetti giovani con coledoco esile, in assenza di angiocolite, la via trans-papillare è di elezione; nei pazienti anziani con coledoco dilatato e sofferenti per patologie debilitanti (diabete, insufficienza cardio-respiratoria e renale) si preferisce la derivazione coledoco-duodenale, specie se coesistono segni di angiocolite pregressa o in atto.
In presenza di bile settica e di flogosi parietale marcata la derivazione esterna su tubo di Kehr è la condotta più corretta, anche perchè scevra di complicanze e di deiscenze post-operatorie.
In soggetti già colecistectomizzati, specie se anziani ed in buone condizioni generali, la calcolosi residua o recidiva si giova del trattamento papillotomico endoscopico con il quale sono scongiurati rischi anestesiologici o chirurgici inutili. Il pericolo della stenosi ostiale a distanza dall'intervento è annullato dall'accorgimento tecnico di prolungare la sezione dello sfintere coledocico (sfintere di Boyden) fino al margine inferiore della terza plica duodenale trasversa (senza oltrepassare tale limite per non incorrere nella sezione accidentale dell'arteria duodenale trasversa che vi decorre).
Se il rilievo di litiasi residua è nell'immediato decorso post-colecistectomia il trattamento di scelta resta endoscopico; tuttavia nei soggetti portatori di drenaggio esterno su Kehr può essere realizzata l'estrazione attraverso questa via - o, meglio, per via transparietoepatica (con tecnica di Seldinger) - del calcolo mediante apposito catetere di Dormia (cestello di Dormia) o tentata la lisi per infusione lenta e continua di cloridrato di mono-octanoina (Capmul 8210).
Infine, in casi di litiasi ricorrente in portatori di bile litogenica, è la coledocoduodenostomia - associata a somministrazione di farmaci che riducano la secrezione biliare di colesterolo e la desaturazione della bile duodenale - la metodica di scelta.
Il rischio di angiocoliti da reflusso e della cosiddetta "sindrome del cul-di-sacco post-anastomotico" è ovviato con la confezione di anastomosi sufficientemente ampie da consentire un facile deflusso del succo enterico refluito.
Più complesso è il trattamento di litiasi del crocicchio degli epatici, dove necessita l'esecuzione di grossi interventi derivativi dutto-epato-digiunali su ansa esclusa (alla Roux) isolando l'epatico sinistro nel III segmento epatico; o intraepatica, che richiede tecniche ampiamente demolitive (quale l'epatectomia destra o la lobectomia sinistra).
Di veramente scarsa utilità pratica è la litotrissia, sia extracorporea che endoscopica
Un cenno particolare merita il trattamento delle fistole bilio-digestive, legate al binomio calcolosi-flogosi (con formazione di aderenze tra la via biliare ed un segmento intestinale prossimale). L'impegno terapeutico deve essere, in questi casi, rivolto essenzialmente al dominio della flogosi ed alla rimozione dell'ostacolo litiasico (se presente); la correzione chirurgica della comunicazione non è consigliabile per fistole con lo stomaco o con il duodeno, mentre è imperativa per fistole con il colon (nelle quali è addirittura necessaria la resezione di un segmento colico quando la recentazione dei margini ostiali esponga al rischio di stenosi della colorrafia, onde evitare il pericolo di deiscenze e di fistole stercoracee).

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I risultati delle diverse procedure chirurgiche disponibili per il trattamento della complessa patologia litiasica della via escretrice biliare sono da considerare globalmente soddisfacenti, con oltre il 90% di guarigioni in prima istanza.
Gli indici di mortalità operatoria e di morbilità sono relativamente bassi (intorno allo 1,5% per entrambe); le recidive risultano inferiori al 2% in tutte le casistiche riportate.
Nel complesso si può affermare che la litiasi biliare è una patologia del tutto benigna nelle fasi iniziali e di stato, con incremento del rischio solo in presenza di complicanze settiche, sia diffuse che circoscritte.
La prognosi è dunque sostanzialmente favorevole, a condizione che la diagnosi sia tempestiva e la terapia oculatamente applicata.
Come sempre la prevenzione delle complicanze maggiori è determinante; specialmente per il rischio di cancerizzazione, la cui prognosi è segnatamente infausta.

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