Chirurgia della Mammella (1/4)


01. Per affrontare al meglio la varietà di patologie che interessano la ghiandola mammaria non ci si può esimere dal rivolgere particolare attenzione ai processi evolutivi nello sviluppo della struttura in tutte le fasi della vita, dall'embrione alla senescenza.
Se nell'uomo - con poche eccezioni - la mammella è una struttura quiescente, nella donna - dalla pubertà alla vecchiaia - essa è soggetta ad un costante ruolo dinamico di cambiamenti fisici rapportati al ciclo mestruale, alla gravidanza, all'allattamento, alla menopausa ed al periodo successivo a questa.
Associate con il suddetto ruolo attivo vi sono molteplici alterazioni funzionali e strutturali che ingenerano spesso patologie con seri risvolti clinici.
A partire dalla VI settimana di vita embrionaria la struttura ghiandolare origina con un ispessimento ectodermico teso dall'ascella all'inguine, che delinea una sorta di rilievo definito "cresta mammaria" o "linea del latte". L'evoluzione lenticolare di detto ispessimento preconizza il successivo sviluppo delle mammelle.
In una fase più avanzata si realizza l'atrofia dei 2/3 distali della cresta, unitamente all'iperplasia/ipertrofia dell'area pettorale con formazione della mammella primordiale. 
02. Questo dà ragione della sede delle ghiandole mammarie nel genere umano ed in altri primati, contrariamente a quanto accade in alcune specie animali.


03. Tra V ed VIII mese di vita intrauterina l'evoluzione ghiandolare presenta modifiche strutturali che conducono alla formazione dei "dotti galattofori primordiali" e del "futuro capezzolo".


04. Alla nascita la mammella è rappresentata da una sottile fovea con 15-20 orifici (terminazioni dei dotti galattofori primitivi) e l'areola da un bottone di ispessimento con poche ghiandole "di Montgomery"; solo successivamente il capezzolo everte mentre l'area areolare assume una leggera iperpigmentazione.
Non in tutti, ma almeno nel 70% dei neonati, il compleso ghiandolare aumenta di volume (mono- o bilateralmente); in circa la metà dei casi è possibile riconoscere una secrezione simil-colostro ("latte della strega").
05. Le citate modifiche morfologiche hanno un corrispettivo istologico, rappresentato dall'ipertrofia duttale e dalla comparsa degli acini ghiandolari, unitamente alla vascolarizzazione dello stroma; il tutto per influenza degli estrogeni materni nella vita intrauterina e della prolattina endogena - stimolata dalla caduta degli estrogeni materni - dopo la nascita.

06. Deviazioni da questo profilo evolutivo rendono ragione dei ben noti errori di sviluppo - o malformazioni - sono per lo più difetti cosmetici - oltre che funzionali - ma possono anche determinare gravi deficit che coinvolgono le strutture muscolari e di sostegno nella parete toracica.
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08. Fatta eccezione per le modeste variazioni neonatali e della pubertà, la mammella maschile si modifica poco nell'arco della vita; all'opposto quella femminile, il cui continuo iter evolutivo si realizza senza soluzione di continuità dal periodo pre-puberale a quello post-menopausa.
09. In epoca adolescenziale si manifestano le prime modifiche morfo-strutturali a carico dell'areola e del capezzolo, con proliferazione dei dotti galattofori, formazine dello stroma fibroso che comprime il grasso sottocutaneo e sviluppo dei lobi ghiandolari; il tutto si completa con la formazione dei lobuli all'epoca dell'inizio dell'ovulazione.
10. In età adulta la struttura mammaria trova la sua espressione anatomo-funzionale definitiva, con limiti anatomo-topografici  definiti e caratteristiche morfostrutturali evidenti a carico dell'area areolare e del capezzolo (diapositiva 12).
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13. Il tessuto ghiandolare resta confinato tra i due foglietti di sdoppiamento della fascia pettorale superficiale, con un prolungamento verso il cavo ascellare (coda di Spence) il cui eventuale incremento volumetrico può simulare una patologia linfonodale regionale; la sua fissità è affidata a ponti fibrosi con il foglietto superficiale della fascia pettorale (legamenti di Cooper) anteriormente e con il foglietto profondo della fascia pettorale posteriormente.

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15. Il supporto vascolare arterioso è sostenuto da tre fonti principali (diapositive 15-17) e tre accessorie, così da realizzare una fitta rete vascolare che garantisce da eventuali condizioni di ischemie segmentarie, specie della regione areolare; il drenaggio venoso, costituito da un sistema superficiale ed uno profondo (diapositiva 18) si realizza attraverso una complessa rete di scarico dei quadranti ghiandolari; cosa che assume una particolare importanza nella diffusione ematogena di processi neoplastici maligni (diapositive 19-20), nonchè di diffusione di cellule di sfaldamento delle strutture ghiandolari.
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21. Questo vale ancorpiù per il drenaggio linfatico (diapositive 21-24) che si realizza nella direzione dei due bacini principali (linfonodi del cavo ascellare e della catena mammaria interna) rispettando la suddivisione topografica ghiandolare in quattro quadranti.

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25. La conoscenza dettagliata del sistema artero-venoso-linfatico si rivela di capitale importanza nella realizzazione delle procedure chirurgiche modulate per il trattamento delle patologie ghiandolari, specie neoplastiche, in riferimento al "grading" istologico, all'impegno linfonodale regionale ed all'indice di "aggressività biologica" della patologia.

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27. La struttura istologica ghiandolare - nelle varie fasi della vita, così come rappresentato - varia in riferimento alle necessità funzionali del periodo, in particolare durante una gravidanza e l'allattamento (diapositive 27-29) fino alla menopausa (diapositiva 32). Ciò si evidenzia ritmicamente durante il ciclo mestruale (diapositiva 28) con variazioni sia volumetriche globali della mammella che microscopiche delle sue componenti parenchimali e stromali.

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33. CORRELAZIONI CLINICHE (diapositive 33-36)
Lo sviluppo delle mammelle procede usualmente in piena simmetria; solo occasionalmente si verifica una qualche asimmetria per diversa velocità di accrescimento di una mammella rispetto all'altra, realizzando una temporanea differente volumetria che tuttavia ben presto ritorna alla normalità.
La persistenza di asimmetrie oltre il completamento del periodo di maturazione realizza condizioni anomale che configurano aspetti malformativi, i più frequenti dei quali sono : la ginecomastia, la sindrome di Poland e l'ipertrofia pre-puberale (o verginale).

34. La ginecomastia è un anomalo sviluppo della ghiandola mammaria nell'uomo che determina una morfologia quasi femminile del seno; è spesso confusa con la pseudo-ginecomastia, in apparenza simile, ma costituita soltanto da un eccesso di tessuto adiposo retroghiandolare (cioè in sede pre-pettorale).
La ginecomastia vera può essere dovuta a cause diverse, come un'anomalia della ghiandola mammaria o disturbi ormonali o cromosomici, mentre l'obesità è tra le cause più frequenti di pseudo-ginecomastia (o falsa ginecomastia).
Entrambe le malformazioni sono suscettibili di correzione attraverso un intervento di asportazione della ghiandola mammaria in uno con il tessuto adiposo in eccesso in caso di ginecomastia vera e con una procedura molto simile ad una mini-liposuzione nel caso di pseudoginecomastia.

35. La Sindrome di Poland è una rara anomalia congenita che coinvolge la parete toracica e l’arto superiore, con diverso grado di gravità e limitazione funzionale e/o estetica.
Descritta per la prima volta nel 1841 dal chirurgo inglese "Sir Alfred Poland", si inquadra in una costellazione di anomalie, tra cui l’assenza dei muscoli grande e piccolo pettorale e la sindattilia.
Nel corso degli anni detta sindrome si è arricchita  di ulteriori compartecipazioni malformative, di volta in volta descritte nei lavori scientifici prodotti, così che oggi è possibile affermare che presenti un’ampia variabilità di difetti congeniti monolaterali: sono così possibili diverse combinazioni di ipoplasia/aplasia toracica con interessamento dell'impalcatura costale, del muscolo grande pettorale (generalmente del suo capo sterno-costale) e del piccolo pettorale, con o senza coinvolgimento dell’arto superiore (brachisindattilia) ipsilaterale; le malformazioni a carico della mano sono molto varie e non correlate con la gravità di quelle toraciche.
L’incidenza della Sindrome di Poland, più frequente nei maschi (secondo un rapporto M/F di 3/2), è stimata attorno a 1/30.000 nati vivi; il lato destro è colpito due volte più frequentemente del sinistro; in genere si presenta in forma sporadica ed unilaterale (anche se è stato descritto un caso bilaterale).
L’anomalia è congenita ed insorge nella vita embrionale; potrebbe essere causata in qualche caso da un difetto della vascolarizzazione fetale con ischemia a carico del territorio tributario delle arterie succlavia, vertebrale e/o di uno dei loro rami durante lo sviluppo fetale.
L’epoca embrionale in cui si potrebbe realizzare l’interruzione dell’apporto sanguigno dalle arterie succlavie sarebbe attorno alla 6° settimana di gestazione: durante tale periodo il muscolo grande pettorale si divide nei suoi capi clavicolare e costale (dal quale originano successivamente il muscolo piccolo pettorale e il capo sternocostale del grande pettorale).
Sempre nella 6° settimana si differenziano le dita della mano, che iniziano a separarsi l’una dall’altra. Durante le stessa settimana, infine, il "pattern" vascolare dal 6° arco si differenzia nelle branche vertebrali e succlavie.
Si ipotizza che un fenomeno ischemico, o in alternativa traumatico endouterino, possa alterare la migrazione e differenziazione delle cellule che andranno a formare i muscoli pettorali.
Con la terminologia SADS - “Subclavian Artery Supply Disruption Sequence” - si identifica un gruppo di difetti di sviluppo accomunati dalla compromissione endouterina del supporto ematico sostenuto dall’arteria succlavia a causa di traumi, compressione estrinseca o edema. Tali difetti sono diagnosticabili alla nascita e comprendono tra gli altri - oltre alla Sindrome di Poland - l’anomalia di Klippel-Feil, la sindrome di Möbius e l’anomalia di Sprengel.
Nella maggiore parte dei casi la sindrome è sporadica, con un rischio trascurabile di ricorrenza nella stessa famiglia ; in qualche caso è stata descritta in letteratura una trasmissione autosomica dominante con penetranza incompleta, in cui l'anomalia è stata trasmessa dal padre affetto al figlio maschio. Si ipotizza che la trasmissione possa essere multifattoriale: in particolare l’esposizione intrauterina ad alcuni farmaci (Misopristolo o Ergotamina) tra la 6° e l’8° settimana di gestazione può causare la sindrome di Möbius, che riconosce una causa comune con la Sindrome di Poland nella SADS.
Le diverse manifestazioni cliniche della Sindrome di Poland, della quale è parte integrante la compromissione del muscolo grande pettorale, riconoscono l'associazione con una o più delle seguenti condizioni:
• assenza o ipoplasia del muscolo piccolo pettorale;
• anomalie della mano (da lieve asimmetria fino a micromelia, brachidattilia, oligodattilia, sindattilia, polidattilia preassiale, ectromelia);
• anomalie del diaframma (ernia diaframmatica, agenesia del diaframma);
• assenza di peli ascellari;
• assente o ridotto sviluppo del capezzolo (atelia) o della mammella (amastia);
• asimmetria dello sterno (depressione e rotazione verso il lato coinvolto);
• asimmetria degli arti superiori (malformazioni e agenesia a carico di omero, ulna, radio e scapola);
• anomalie vertebrali (emivertebre, fusioni vertebrali);
• anomalie viscerali varie a carico del fegato e delle vie biliari, del cuore (destrocardia), del colon e del tenue, dei reni (agenesia e/o ipoplasia renale mono o bilaterale), anomalie a carico della pelvi e delle vie urinarie (bifidità, duplicità, ostruzione, reflusso);
• anomalie del sistema nervoso centrale (encefalocele, exencefalia, microcefalia); anomalie funzionali o morfologiche dell’ipotalamo e dell'ipofisi.
La patogenesi genetica è confermata dall'associazione frequente con altre sindromi conosciute e di seguito elencate:
• Sindrome di Klippel-Feil: descritta nel 1912 e caratterizzata dalla fusione di vertebre cervicali, con motilità ridotta del segmento spinale e possibile presenza di spina bifida occulta;
• Sindrome di Möbius: paralisi uni- o bilaterale, parziale o completa, del VI e del VII paio dei nervi cranici ed anomalie multiple degli arti;
• Sindrome di Adams-Oliver: difetti delle falangi terminali delle dita (tipicamente asimmetriche), aplasia del cuoio capelluto, cutis marmorata;
• Sindrome di Goldenhar: anomalie oculari, auricolari, vertebrali, craniofacciali;
• Sindrome di Ulrich-Turner : anche definita "disgenesia gonadica", cromosomopatia (monocromosomia X e/o mosaicismo di Turner) relativamente frequente (1/2500-3000 nate vive) con ipogonadismo, disgenesia gonadica, bassa statura;
• Sindrome di Parry-Romberg: atrofia unilaterale del tessuto sottocutaneo del volto con anomalie oculari;
• Anomalia di Sprengel: assenza della parte superiore del muscolo dentato anteriore, con conseguente scapola alata ed elevata.
La diagnosi è clinica, potendosi osservare tutte le possibili varietà della sindrome; in particolare l’ipoplasia del muscolo grande pettorale e le malformazioni associate dell’arto superiore omolaterale.
Lo studio radiologico risulta di vitale supporto diagnostico, consentendo di valutare esattamente tutte le anomalie presenti, fornendo elementi indispensabili per la corretta definizione delle deformità ed indicazione alla chirurgia che deve in ogni caso essere modulata in riferimento alla sussistenza di problemi estetici, strutturali o funzionali (riduzione della capacità polmomare e della funzionalità respiratoria), fino alla possibile scoliosi.
Il trattamento si può avvalere delle più semplici procedure di mastoplastica additiva (in caso di sola asimmetria mammaria) fino alle più complesse tecniche ricostruttive (in caso di malformazioni estese, coinvolgenti più componenti della parete toracica).

36. La gigantomastia pre-puberale - altrimenti definita "verginale" - è rara in assenza di una disfunzione ipofisi-gonadica; più propriamente riconducibile ad una condizione discrinica per patologica responsività degli effettori ormonali o più semplicemente ad esposizione incontrollata a terapia estro-progestinica per ritardo puberale. Dopo le canoniche indagini clinico-diagnostiche richieste per il corretto inquadramento della patologia, il trattamento non può che essere chirurgico, rivolto all'impiego di tecniche di mastoplastica riduttiva.
Un richiamo particolare è rivolto alla sindrome onico-digito-mammaria (sindrome MDN): malformazione degli arti, caratterizzata da onicodistrofia/anonichia congenita, brachidattilia del quinto dito, digitalizzazione dei pollici, assenza o ipoplasia delle falangi distali delle mani e dei piedi; il tutto associato ad ipertrofia giovanile del seno, con gigantomastia nelle femmine in età prepuberale.

37. DIAGNOSTICA CLINICA
ESAME FISICO (diapositive 37-39)
Dei quattro cardini del percorso diagnostico clinico - ispezione, palpazione, percussione ed ascoltazione - sono i primi due ad avere un ruolo dominante nell'approccio alla mammella per l'identificazione di situazioni meritevoli di un approfondimento.
Alla canonica ispezione eseguita in ortostatismo è demandata l'analisi morfologica di entrambe le strutture al fine di rilevare eventuali asimmetrie, aree di depressione tegumentaria, edema superficiale, deformità prodotte da masse profondamente localizzate, retrazione del capezzolo o evidenza di manifestazioni infiammatorie.
Secondo Haagensen la posizione inclinata in avanti della paziente favorisce l'atteggiamento pendente delle mammelle e con esso il riconoscimento di aree di deformità o retrazione tissutale.
La posizione eretta del soggetto da esaminare facilita altresì la palpazione dei cavi ascellari nell'intento di rilevare eventuali incrementi volumetrici delle strutture linfonodali, in uno con la loro mobilità o eventuale fissità ai tessuti limitrofi (elemento distintivo tra una dipendenza flogistica o neoplastica del riscontro positivo).
In clinostatismo è invece condotta una palpazione ottimale per il riscontro di eventuali formazioni intraparenchimali, per le quali è necessario valutare forma, consistenza, dolorabilità, eventuale fissità con gli strati tissutali superficiali e profondi.
L'importanza del rilievo precoce di quadri che si discostino dalla normalità - ai fini della prevenzione e della diagnosi precoce, e con essa della più elevata curabilità di lesioni neoplastiche maligne - ha promosso una vasta campagna divulgativa dell'autopalpazione, con suggerimenti atti ad una corretta esecuzione delle manovre necessarie; la metodica, che secondo Huguley e Brown aumenta sensibilmente le possibilità di identificazione di un cancro della mammella in fase precoce, andrebbe eseguita una volta al mese nei soggetti sotto i 35 anni di età o in quelli decisamente anziani, mentre suggerirebbe una maggiore frequenza nei soggetti compresi tra i 35 ed i 60 anni di età.

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40. DIAGNOSTICA STRUMENTALE (diapositive 40-48)
MAMMOGRAFIA (diapositive 40-41)
L'approfondimento diagnostico strumentale è demandato principalmente all'esame mammografico - standard e con compressione - riferito evidentemente all'impiego di strumentario di avanzata generazione ed a personale di provata esperienza.
L'eventuale identificazione di aree di sospetta natura richiede l'utilizzo dell'agobiopsia, alla cui precisione topografica concorre decisamente la guida ecografica.
Va aggiunto che l'indagine - già utile di per sè per la diagnosi di sede e natura della lesione primaria - si dimostra oltremodo efficace nell'esame della mammella controlaterale a quella già sottoposta ad un intervento di mastectomia radicale, nonchè nel controllo del parenchima mammario residuo in caso di interventi di mastectomia parziale (quadrantectomie o resezioni limitate). Inoltre non trascurabile appare l'ausilio dell'indagine nei casi di mammelle particolarmente voluminose o decisamente ricche in tessuto adiposo, specie se il soggetto lamenta note di sofferenza non suffragate dal riscontro di noduli o masse palpabili.
Un segnale di elevato sospetto di malignità è dato dal riscontro di calcificazioni - per lo più confluenti - di infiltrazioni a raggiera del tessuto circostante una lesione palese, di ispessimenti cutanei e di diversa densità tissutale.
Tutto ciò contribuisce decisamente all'identificazione di lesioni maligne in netto anticipo rispetto ai riscontri limitati al solo esame clinico, con possibilità di interventi terapeutici mirati in una fase di alto indice di curabilità.
Già nel 1973 l'American Cancer Society ed il National Cancer Institute dettero vita ad un vasto programma pilota di indagine massiva mammaria - il Breast Cancer Detection Demonstration Program (BCDDP) - con circa 300000 donne esaminate annualmente mediante esame clinico e mammografico;l'iniziale scetticismo dei detrattori del metodo, basato sul convincimento di un maggior rischio di cancerogenesi sostenuto dall'esposizione alle radiazioni, fu via via superato dai progressi tecnologici nell'ambito degli strumenti radiologici adoperati, fino al raggiungimento ad oggi di un rischio del tutto trascurabile a fronte di un netto incremento degli indici di curabilità e di sopravvivenza di lesioni neoplastiche con vario grado di malignità e di aggressività bilogica, oltre che in diversi stadi di malattia.
A contribuire non poco al miglioramento dei risultati è intervenuto l'impiego del mammotom, uno strumento radiodiagnostico che consente la localizzazione dettagliata della lesione identificata all'ecografia è la sua elaborazione computerizzata per la guida di un incisore meccanico capace di prelevare - con estrema precisione - un tassello di tessuto sospetto per l'esame istologico (e non citologico, come nel caso di agoaspirato eco-guidato).

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42. XEROGRAFIA E TERMOGRAFIA
Un cenno più storico che pratico meritano al momento la xerografia e la termografia. La prima, oggi superata dalla più diffusa mammografia, è sostanzialmente simile a questa, dalla quale si discosta per la sola differenza di una registrazione di immagini su foglio xerografico invece della tradizionale pellicola radiologica; l'immagine è positiva, anzichè negativa, e di più facile interpretazione per occhi meno esperti, ma spesso insufficiente per una corretta interpretazione anche da parte di operatori più esperti.
La seconda si basa sul principio dell'incremento termico di aree mammarie occupate da un processo neoplastico rispetto a quelle che circoscrivono la lesione; l'inconveniente - che ha poi condotto al suo disuso - è dato dagli alti indici di falsi positivi in presenza di processi flogistici e di falsi negativi in presenza di processi neoplastici non associati ad "hot spots" rilevabili con l'apparecchio.

43. ECOGRAFIA (diapositive 43-45)
Oggi appare imprescindibile l'impiego dell'ultrasonografia, specialmente per la differenziazione tra cisti e masse solide; anche se presenta limiti per l'identificazione di lesioni precoci a causa della difficoltà a rilevare la presenza di microcalcificazioni.
E’ un esame non invasivo, essenziale nelle donne sotto i 30 anni di età ed ottimo ad integrazione dell’indagine mammografica nelle pazienti al di sopra dei 40 anni; consente di ottenere informazioni su dimensioni, morfologia e struttura dei reperti parenchimali e ascellari.
Complementare alla mammografia, si è imposta negli ultimi anni come indagine essenziale per la diagnosi precoce del cancro della mammella, oltre che utile quanto e forse più della mammografia per lo studio della patologia benigna, risultando così un ottimo strumento di diagnostica preventiva. Il campo di applicazioni contempla anche la guida rapida per la diagnostica citologica su piccoli frammenti tissutali (FNAB e FNAC: fine-needle aspiration biopsy and cytology) senza uso di anestesia, per reperti nodulari  sospetti; oltre che la valutazione della vascolarizzazione di una lesione (eco-color-doppler) al fine di inquadrare meglio un dubbio clinico.
L’evoluzione tecnologica delle apparecchiature ecografiche ha permesso di passare dall’iniziale limitato compito di differenziazione della natura solida o liquida di un nodulo a quello ben più importante di approfondita analisi dei suoi caratteri morfologici ed ecostrutturali, così che già negli anni '80 si è raggiunta un’accuratezza diagnostica per il cancro della mammella valutata tra il 78 ed il 96% (Huber 1982, Kabayoschi 1982, Sickles 1983, Murat 1984, Dambrosio 1989). 
L’esame ecografico della mammella risulta particolarmente utile ed affidabile nello studio delle alterazioni benigne (malattia fibrocistica, fibroadenomi, patologia flogistica, dilatazioni dei dotti galattofori); in particolare qualora dette alterazioni si manifestino in mammelle mastosiche ad alta componente ghiandolare o nel contesto di un seno denso giovanile.  Attualmente la tecnica ecografica si impone per lo studio della mammella operata, per la guida al prelievo citologico bioptico di lesioni non palpabili e per il posizionamento preoperatorio di un repere metallico in noduli non palpabili.
I criteri diagnostici ecografici delle lesioni focali riguardano la forma della lesione (rotondeggiante o ovoidale nei noduli benigni, spiculare in quelli maligni), il contorno (liscio o frastagliato, netto o sfumato rispettivamente in casi di benignità o malignità), l'alone iperecogeno circoscrivente l'area sospetta, la presenza di echi interni (nelle forme benigne) o la loro grossolana assenza (in quelle maligne), la sussistenza di un cono d'ombra bilaterale (nelle lesioni benigne) o la sua assenza o unilateralità (nelle lesioni maligne); ma principalmente il rapporto tra diametro longitudinale e diametro trasverso della lesione evidenziata, con prevalenza del primo sul secondo in caso di malignità e condizione inversa in caso di benignità.
Un cenno particolare meritano le cisti mammarie, caratterizzate da formazioni anecogene ovoidali, talvolta con contorni policiclici e margini netti, con rinforzo di parete posteriore e coni d’ombra bilaterali; il contenuto della cisti può risultare più o meno ipoecogeno per la presenza di versamenti emorragici o di liquido denso e corpuscolato. Nelle cisti infette risalta la presenza di echi in sospensione o di sedimento, in aggiunta ad ispessimento iperecogeno della parete che si continua con un alone ipoecogeno costituito dal tessuto ghiandolare contiguo edemigeno.
La presenza di cisti così dette “sporche” in assenza di una evidente sintomatologia flogistica ed ancor più di riscontri iperecogeni con atteggiamento vegetante nel lume cistico necessita di una tipizzazione citologica per il rischio di una degenerazione maligna.
In casi di malignità l’aspetto ecografico basilare è quello di un’area nettamente ipoecogena rispetto al tessuto ghiandolare circostante, di forma irregolare, con contorni frastagliati e margini mal definiti; il processo invasivo microspiculare si può manifestare sotto forma di una corona ecogena ovvero di un’area iperecogena spessa alcuni millimetri, situata sul margine prossimale della formazione. L’indagine ecografica è ancora in grado di evidenziare alterazioni dei tessuti ghiandolari contigui al nodulo maligno.
Quando il piano cutaneo della mammella è invaso dal processo neoplastico, appare ispessito, potendosi rilevare una perdita di regolarità del profilo convesso mammario; il tessuto adiposo sottocutaneo, che sovrasta il carcinoma, può risultare di spessore nettamente ridotto e talora punteggiato da una fine iperecogenicità (segno di infiltrazione neoplastica); anche le travate fibroconnettivali di sostegno, normalmente disposte con un andamento pressoché parallelo al piano costale, risultano sovvertite e talora mozzate a livello della neoplasia, potendosi rilevare anche alterazioni delle creste del Duret e dei ligamenti di Cooper.
Si deve tener presente come alcuni tipi di carcinomi - in particolare i carcinomi midollari e colloidi - tendono a non mostrare, all’indagine ecografica, evidenti segni di malignità presentandosi come formazioni di aspetto simil-cistico a contorni ben definiti, con contenuto finemente ipoecogeno. La diagnosi ecografica risulta, per tali motivi, spesso difficoltosa e si basa sul completamento diagnostico ago-bioptico sempre necessario in presenza di formazioni pseudocistiche, specie se riscontrate in donne in età post-menopausa.
In definitiva, nelle donne molto giovani, di età inferiore a 30 anni, nelle quali è frequentemente riscontrabile un seno denso a prevalente componente ghiandolare, l’ecografia deve essere considerata l’esame strumentale di prima istanza a completamento della visita clinica; nelle donne tra i 30 ed i 40 anni, in presenza di mastodinia o di tumefazioni a placca, l’ecografia si può ancora considerare l’esame di prima istanza a seguito della visita clinica, necessitando comunque - qualora il reperto ecografico orienti verso un'alterazione benigna - di periodici controlli ecografici e mammografici nel follow-up; oltre i 40 anni, ed ancor più in età post-menopausa, la mammografia rappresenta l’esame di prima istanza in pazienti sintomatiche, potendo comunque l’ecografia rappresentare un valido completamento diagnostico nella differenziazione solido/liquido di una formazione, nello studio delle mammelle ad elevata componente fibroghiandolare e nell'analisi di quelle opacità nodulari che all’indagine mammografica non presentino tutti gli aspetti semeiologici di benignità.
Ovviamente, specialmente in questa fascia di età (a più elevato rischio per il carcinoma della mammella) tutti i casi dubbi o sospetti necessitano di un approfondimento diagnostico citologico mediante agobiopsia.

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46. TAC, PET-TC, RNM
In epoca relativamente recente sono state introdotte due indagini diagnostiche di provata efficacia: la TAC (tomografia assiale computerizzata) e la PET-TC (Tomografia ad Emissione di Positroni), entrambe più utili per la stadiazione di un tumore già definito che per la sua sola identificazione.
In particolare, la prima consente l'acquisizione di informazioni sulla ghiandola mammaria in uno con campi di interesse specifico nell'ambito delle possibili diffusioni della patologia neoplastica primitiva; la seconda è in grado di identificare aree cellulari in più rapida crescita in base al principio di una maggiore captazione da parte di cellule neoplastiche del tracciante utilizzato (18F-FDG).
Nel campo della senologia la PET-TAC non si può sostituire assolutamente alle indagini tradizionali nello studio del seno, sia come mezzo di diagnosi di routine che come controllo dopo un intervento; piuttosto può offrire un'efficace individuazione di un cancro in via di evoluzione e sviluppo; oggi si tende a riconoscere che scintigrafia ossea, tomografia a emissione di positroni (PET) e tomografia computerizzata (CT) debbano essere impiegati da soli o in combinazione per il rilevamento di tumori mammari sospettati di diffusione, sfruttando le caratteristiche specifiche di ognuna delle citate metodiche.
Così, la scintigrafia ossea per rilevare aree ossee interessate nel processo di crescita neoplastica (segno di malattia metastatica); la PET per valutare le irregolarità di attività biochimica (cellule che metabolizzano il glucosio con insolita velocità, marchio di una cellula tumorale); la TAC per ottenere informazioni utili a delimitare ed analizzare  dimensione e forma dei tumori.
L’uso della risonanza magnetica mammaria è da escludere sia come indagine di screening nella popolazione generale, sia come indagine di complemento alla mammografia ed all'ecografia mammaria in pazienti con diagnosi di carcinoma mammario; anche se presenta una sensibilità maggiore nella diagnosi di carcinoma rispetto alla mammografia, ha minore specificità con conseguente più alto tasso di falsi positivi; inoltre non è in grado di rilevare la presenza di microcalcificazioni nel contesto delle lesioni nè informazioni utili a valutazioni prospettiche sulla sopravvivenza globale delle pazienti studiate. 
Di significato non trascurabile è invece l'indicazione all'esecuzione della risonanza magnetica come metodica di screening, in aggiunta alla mammografia e all’esame clinico, in donne con predisposizione genetica e/o importante storia familiare, a partire dall’età di 25 anni ed in quelle che abbiano ricevuto irradiazione toracica prima dei 30 anni d’età, iniziando dall’età di 40 anni o comunque 8-10 anni dopo l’esposizione.

47. IL LINFONODO SENTINELLA (diapositive 46-48)
A partire dal 1996 - grazie alle ricerche di studiosi del National Cancer Institute di Bethesda - nella stadiazione e terapia chirurgica del carcinoma mammario la tecnica del linfonodo sentinella ha acquisito via via un ruolo sempre più importante, nell’ottica sia della prevenzione di complicanze post-chirurgiche (linfedema in particolare), che della riduzione della durata degli interventi e delle degenze ospedaliere.
Questa tecnica trova la propria giustificazione fisiopatologica nella osservazione che la diffusione metastatica delle cellule neoplastiche dal focolaio tumorale primitivo ai linfonodi ascellari avviene in modo regolare e progressivo, senza cioè di solito salti di livello (dal I al II e quindi al III).
La negatività istologica del primo linfonodo di drenaggio che riceve il flusso linfatico proveniente dall’area della mammella interessata dalla neoplasia (il "linfonodo sentinella" appunto, identificato attraverso tecniche radioisotopiche), consente di escludere, con ragionevole sicurezza, l’interessamento metastatico dell’intera catena linfonodale ascellare, evitando alla paziente un'inutile dissezione ascellare completa.
La positività istologica del linfonodo sentinella è invece naturalmente indice di diffusione regionale della neoplasia e determina il ricorso obbligatorio alla linfoadenectomia ascellare.
Per identificare il linfonodo sentinella si inietta - qualche ora prima dell’intervento - una soluzione salina contenente particelle colloidali di albumina umana coniugata con Tecnezio 99m, di dimensioni comprese tra 20 e 80 nanometri, in prossimità del nodulo palpabile, ovvero - in caso di lesione non palpabile - intorno all'opacità neoplastica (sotto guida ecografica) o in corrispondenza di un aggregato di microcalcificazioni tumorali (sotto guida stereotassica mammografica); si possono anche utilizzare coloranti vitali (ad esempio Patent Blue-V), ma l’uso di un tracciante radioattivo fornisce garanzie superiori.
Dati recenti indicano che anche un'iniezione intradermica, in corrispondenza della proiezione cutanea della lesione neoplastica, può rappresentare una valida opzione in quanto consente di sfruttare la ricca vascolarizzazione linfatica del derma.
L’utilizzo di una sonda per chirurgia radioguidata consente di individuare la zona ascellare di maggiore emissione del segnale: una piccola incisione cutanea, attraverso cui si inserisce la sonda protetta da una guaina sterile, consente di raggiungere il primo linfonodo "caldo" (che emette il maggiore segnale di radioattività, per drenaggio dall’area neoplastica) o "linfonodo sentinella" che viene asportato in modo selettivo ed esaminato istologicamente, al fine di evidenziare la eventuale presenza di focolai tumorali metastatici.
L'indagine istologica conseguente può essere eseguita :
• durante l’intervento sulla ghiandola mammaria (con il vantaggio di prevedere un'unica seduta chirurgica, ma con evidenti limitazioni legate alla brevità del tempo a disposizione dell’anatomopatologo per l’analisi accurata delle sezioni istologiche linfoghiandolari;
• in regime di day surgery, in anestesia locale, prima dell’intervento sulla mammella (con evidente maggiore accuratezza diagnostica, riducendo l’incidenza di falsi negativi).
Metodiche immunocitochimiche (anticorpi anticitocheratine), hanno consentito di identificare anche singole cellule tumorali metastatiche (micrometastasi del linfonodo sentinella), migliorando ulteriormente l’affidabilità dell'indagine.
La ricerca del linfonodo sentinella è indicata :
• in donne con neoplasie mammarie singole (T1-T2) di diametro inferiore o uguale a 3 centimetri, con linfonodi ascellari clinicamente negativi; per questi tumori l’interessamento linfoghiandolare ascellare è presente nel 30-35% dei casi, così che il rilievo di un linfonodo sentinella negativo consente di evitare nel 65-70% dei casi un'inutile linfoadenectomia ascellare completa;
• in donne con due o più noduli tumorali situati nello stesso quadrante mammario (tumori multifocali), con diametro complessivo neoplastico inferiore o uguale a 3 centimetri e con linfonodi ascellari clinicamente negativi.
La ricerca del linfonodo sentinella è, invece, controindicata:
• in pazienti con linfonodi ascellari clinicamente positivi o tumori di dimensioni superiori a 3 centimetri (in entrambi i casi il rischio di metastasi ascellari è elevato - pari al 60-65% - ed una linfoadenectomia ascellare completa può rivelarsi certamente più corretta);
• in presenza di tumori multicentrici (due o più noduli in quadranti mammari differenti);
• in donne in stato di gravidanza o durante l’allattamento. 
In tema di affidabilità della metodica è provato che la negatività istologica del linfonodo sentinella ha un valore predittivo superiore al 96%; ciò significa che l'assenza di focolai metastatici a livello del linfonodo sentinella è fortemente indicativa di negatività istologica di tutti gli altri linfonodi ascellari e consente quindi di evitare la dissezione completa, con le inevitabili complicanze precoci e tardive connesse con questa procedura. Tuttavia la possibilità di falsi negativi all'indagine istologica intraoperatoria, seguita da positività ad un esame successivo più accurato (come accade fortunatamente in meno del 3% dei casi) impone di completare l’intervento di linfoadenectomia ascellare in seconda istanza,
La metodica è da considerarsi sostanzialmente priva di complicanze o esiti indesiderati: infatti l'incidenza di linfedemi post-biopsia del linfonodo sentinella è di circa il 3%; tuttavia non si deve sottovalutare il tasso di incidenza di linfedemi dopo linfoadenectomia differita (per linfonodi sentinella falsamente negativi o per ripresa di malattia a livello ascellare), che è di circa il 17% (superiore quindi a quella riscontrata dopo linfoadenectomia primaria, probabilmente perché si reinterviene su un’area già chirurgicamente manipolata).
Ultima considerazione di assoluto valore è che le pazienti operate con tecnica conservativa associata a biopsia del linfonodo sentinella devono essere sottoposte a follow-up codificato, comprendente una visita clinica - inizialmente ogni sei mesi, quindi ogni anno - ed una mammografia annuale; qualora si rilevi l’ingrossamento di uno o più linfonodi, può essere utile l’esecuzione di una ecografia ascellare e di un eventuale agoaspirato; nell'eventualità di una ripresa di malattia a livello ascellare (3-4% dei casi) è mandatario ricorrere alla linfoadenectomia ascellare completa differita.

48.

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